Keratocono

 

Cheratocono

Applicazione per lenti nel Cheratocono

Durante gli anni della mia pratica contattologica dedicata alla costruzione e all’applicazione di lenti a contatto, osservando alcune persone affette da cheratocono, anche in stadio avanzato, che non avevano utilizzato lenti a contatto, ho notato che presentavano opacizzazioni dell’apice della cornea (leucoma) e pertanto ho concluso che le lenti a contatto e non il cheratocono provocavano questo fenomeno. Ho avuto modo di seguire persone affette da cheratocono che indossavano lenti con forti contatti con l’apice corneale che avevano provocato opacizzazioni corneali permanenti con conseguente perdita di visione e destinati pertanto al trapianto corneale. A causa della scarsa sensibilità corneale che spesso si sviluppa in casi come questi, costoro erano spessi privi di sintomatologia, e avvertivano disagio solo improvvisamente a causa di una abrasione o ulcerazione corneale. Essi riferivano di aver avuto difficoltà all’inizio, ma di essersi poi “abituati” alle lenti. Realizzai pertanto che per molti di loro, c’era una fase iniziale che se erroneamente protratta nel tempo, portava a desensibilizzazione provocando fenomeni di opacità sempre maggiori. In anni di scambi di opinioni con altri applicatori, per alcuni di loro, il tema che sembrava prevalere era il seguente: “Io cerco di ottenere il miglior compromesso in termine di visione, confort e contatto della lente sulla cornea controllando questa condizione nel tempo e provvedendo a sostituire le lenti quando si verificano sintomi soggettivi”. C’è quindi una sorta di accettazione che un contatto della lente sul cono è condizione quasi evitabile a indurre il seguente percorso: spinta sul cono = buon visus = riduzione di sensibilità = abrasione = opacizzazione.

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 Il motivo di questo atteggiamento è spesso dovuto al fatto che seguire questa categoria di portatori è un processo complesso e impegnativo in termini di attrezzature, esperienza e tempo da dedicare loro e questo è particolarmenmte vero per applicatori che vedono pochi casi di cheratocono. Negli anni ho anche notato che alcuni portatori di lenti indossavano lenti che davano si visione adeguata ma causavano loro più problemi di quelli che risolvevano, Queste erano lenti standard con inadeguati contatti sulla cornea, spesso molto “piatte” con consuguenti e frequenti perdite oppure lenti con zone periferiche molto aderenti che impedivano la normale circolazione delle lacrime sotto la lente, con sensazione di occhio secco e necessità di instillare frequentemente lascime artificiali. Molte volte a queste persone, quando riferivano dei loro disagi con le lenti, veniva spesso detto di “farci l’abitudine” che bisognava “insistere”e che comunque le alternative non c’erano. Decisi pertanto di iniziare uno studio che poteva consentirmi di applicare lenti con un criterio più tecnico. Usavo a quel tempo alcuni set di prova di varie aziende e realizzai che molto spesso che le combinazioni di alcuni elementi fra loro conducevano a lenti con minore stabilità, migliore fisiologia, tempo di uso più lungo e, la condizione che sempre portava ad ottenere questo risultato, era quella che la curvatura della lente non doveva spingere la zona del cono.

Con l’avvento, alcuni anni orsono, dei topografi corneali si è potuto disporre di un’analisi più accurata del cheratocono evidenziando con precisione micrometica la sua posizione, estensione e profondità rispetto all’apice della cornea rendendo evidenti due tipologie di cono:

  • Centrale
  • Decentrato in basso

il tutto associato ad una forte asimmetria nelle varie zone della corzznea. La mia filosofia applicativa è stata pertanto quella di realizzare lenti che, applanando le zone di cornea periferica più regolari, sormontano l’apice del cono sfiorandolo senza evidenziare compressione con esso, sia che si tratti di cheratoconi agli stati iniziali che a quelli più avanzati. Considerando come condizione imperativa che:

  • Il contatto delle palpebre con il bordo delle lenti non deve verificarsi (in questo modo la lente non provoca un senso di corpo estraneo). (Vedi figura 1)
  • La lente deve essere quanto più piccola possibile nei cono centrali e non molto estesi e quanto più grande possibile nei cono decentrati o estesi. (Vedi figura 2)

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Applicare lenti di grande diametro è oggi possibile grazie all’utilizzo di materiali approvati della statunitense FDA per l’uso prolungato, materiali che consentono un’elevata ossigenazione. Argomenti correlati: http://www.polymer.com/

L’appoggio della lente nelle aree lontane dal cono deve prevedere un’uniformità di contatto con la cornea in modo da non evidenziare asimmetrie tipo: zone dove la lente “tocca” eccessivamente la cornea e dove invece è troppo “sollevata” perchè in questo modo:

  • Il film lacrimale sotto la lente non è uniforme e provoca scarsa visione e/o sensazione di secchezza dopo poche ore di uso.
  • Il confort non è ottimale
  • La lente è molto instabile e fuoriesce con facilità

Vorrei infine porre l’accento sul management del post applicazione perché spesso l’evoluzione progredisce indipendentemente dall’uso delle lenti. Sono pertanto necessarie verifiche periodiche sia dal proprio medico oculista di fiducia che nello studio di applicazione per eventuali modifiche preventive, e non successive, all’insorgere di complicanze.

Siete ora più consapevoli che per la soluzione ottica con lenti a contatto per il cheratocono sono disponibili delle lenti più specifiche a cui non dovrete “abituarvi” e che vi renderanno più semplice l’accettazione del vostro problema. Vi invito a leggere le loro caratteristiche nelle altre pagine del sito. Se disponete di una tipografia corneale potete inviarla, vi consiglierò sulla scelta della lente più idonea alla vostra morfologia corneale. Potete parlarne anche con il vostro oculista di fiducia; sono a sua completa disposizione in merito alle tecniche applicative.

5 Risposta

  1. admin

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  2. admin

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    • admin

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      • admin

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  3. admin

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